Il trauma psicologico: come prevenire e superare il disagio

Un crescente numero di persone si confronta nella propria vita con eventi altamente stressanti che possono rappresentare veri e propri traumi. Il confronto con tali esperienze traumatiche può lasciare ferite che si rimarginano o segni indelebili che possono cronicizzarsi, compromettendo la normale funzionalità di un individuo.

Eventi traumatici versus significati traumatizzanti

Quando si parla di “trauma psicologico” ci si riferisce agli effetti sulla mente e sul comportamento prodotti da un evento fisico, psicologico o sociale altamente stressante.
I primi studi sugli effetti cronici post-traumatici ritenevano il trauma psicologico come la conseguenza di un evento traumatico, ossia di un agente patogeno costituito da una condizione estrema collocata idealmente al di fuori delle esperienze umane comuni (DSM III).
Secondo questa prima discriminazione specifica degli eventi in grado di generare un trauma psicologico, venivano ritenuti “eventi traumatici” soprattutto diversi accadimenti di natura obiettivamente grave e straordinaria, quali violenze fisiche, abusi sessuali, disastri naturali (terremoti, alluvioni, ecc.), disastri tecnologici (incidenti chimici, nucleari, danni energetici, ecc.), guerre, torture, incidenti e rapimenti.

Ben presto, tuttavia, le osservazioni cliniche hanno mostrato che esistono delle persone che presentano chiaramente sintomatologie post-traumatiche pur non essendo stati esposti ad eventi oggettivamente estremi. Ciò ha generato la caduta dell’assunto secondo il quale “è una situazione grave che produce una reazione estrema”, anche grazie all’osservazione di opposti casi di individui esposti a stress apicali senza la manifestazione di segni di trauma psichico.
In tal modo, il criterio principale che permette di circoscrivere le condizioni in grado di generare traumi psicologici è stato rivisitato e collegato a fattori soggettivi, piuttosto che alle caratteristiche oggettive degli eventi affrontati. Pertanto, si è evidenziato che la stessa sindrome post-traumatica può essere generata da una ampia gamma di situazioni la cui gravità non è insita nell’evento, bensì derivante dall’ “interpretazione traumatizzante” dello stesso e dai conseguenti vissuti emotivi che ne derivano.
A tal proposito possono essere attribuiti significati traumatizzanti a qualsiasi evento negativo in cui una persona vive direttamente o come testimone di uno o più situazioni connesse alla morte reale o temuta, ovvero in cui sperimenti una minaccia per la propria o altrui incolumità fisica, tale da mettere a dura prova il senso di sicurezza psicologica. Il vissuto di timore o danno, derivante dall’interpretazione soggettiva, e spesso inconsapevole, dell’evento affrontato si accompagna a risposte di intensa paura, di impotenza e di orrore (DSM IV). Questa visione più ampia dei fattori traumatizzanti permette di comprendere perché spesso i sintomi di un disturbo post-traumatico possono comparire anche in seguito a situazioni naturalmente presenti nella vita umana, quali malattie o lutti, nel corso delle quali la percezione soggettiva può diventare traumatizzante (March J.S., 1993).

 

Uno shock al crocevia: possibili reazioni ad un trauma
Sono state individuate diverse possibili strade che possono essere seguite dopo lo scontro con un evento scioccante: esse costituiscono i diversi esiti post-traumatici.

La resilienza rappresenta il percorso post-traumatico più favorevole in cui si evidenzia una tendenza a mantenere un equilibrio stabile nel funzionamento, nonostante dei possibili ed umani malesseri transitori. Questa importante capacità di conservare un certo grado di integrità e salute psicofisica di fronte agli stress e ai traumi è paragonabile ad una reazione psicologica efficace simile a quella messa in atto fisicamente da parte del sistema immunitario quando il corpo combatte e sconfigge un attacco infettivo (Oliviero Ferrari A., 2003).

Una sintomatologia temporanea post-traumatica parziale, il cosiddetto disagio sottosoglia, o un vero e proprio Disturbo Acuto da Stress, possono essere considerati frequenti e transitori in seguito ad eventi ad alto impatto emotivo, soprattutto in seguito al confronto con i tradizionali “eventi oggettivamente traumatici”. In ogni caso, spesso l’iperattivazione emozionale che può nascere da situazioni anche ordinarie può generare sintomi di trauma psicologico passeggeri che tendono ad una guarigione o recovery, in gran parte dei casi, nell’arco di quattro settimane.
Tale guarigione generalmente è connessa ad una rapida e positiva rielaborazione della situazione affrontata, una possibilità che è legata a risorse psicologiche, attivate spesso anche grazie al supporto sociale e all’aiuto professionale, che è estremamente importante predisporre in modo preventivo quando gli eventi sono oggettivamente disastrosi e ad elevata influenza psichica.

In altre situazioni invece il decorso è profondamente diverso e una persona non è sempre in grado di mobilitare le proprie risorse personali o di attingere a quelle familiari e sociali. In tali casi si possono sviluppare, in modo cronico a partire dalle forme acute o con impatto ritardato a partire da iniziali evoluzioni positive, dei sintomi caratteristici del cosiddetto Disturbo Post-traumatico da Stress che si configura come una comparsa di sintomi peculiari nel breve o lungo termine o un perpetrarsi per oltre un mese della forma acuta di disturbo post-traumatico (DSM IV TR).
In questa problematica, connotata da una costellazione di sintomi che accompagnano le forti note di ansia, sono presenti altre 3 caratteristiche sintomatiche che accompagnano l’esposizione all’evento traumatico (che costituisce il criterio diagnostico di base), ovvero:

  • la presenza di una o più modalità con cui l’evento patogeno viene rivissuto;
  • la presenza di comportamenti di evitamento di stimoli associati al trauma insieme ad una ridotta recettività emotiva;
  • la presenza di uno o più segni di iperattivazione del Sistema Nervoso Centrale (iperarousal).

Per ciò che concerne la prima caratteristica elencata, quella che costituisce il secondo criterio di diagnosi, essa si può manifestare attraverso ricordi ricorrenti e intrusivi del trauma, oppure mediante sogni ricorrenti sul tema o attraverso la sensazione che l’evento terrorizzante si stia per ripresentare (es. deja-vu, illusione, allucinazione, flashback). Similmente si possono manifestare una forte angoscia o reazioni psicofisiologiche sgradevoli in rapporto al confronto con stimoli interni o esterni che simbolicamente sono connessi all’evento traumatico o al suo anniversario, dal momento che è molto facile che avvenga un condizionamento diffuso di situazioni simili a quella che ha originato il disagio mediante un meccanismo di generalizzazione della reazione d’ansia.

Per quanto attiene alla seconda caratteristica, che definisce il terzo criterio diagnostico ufficiale, la tendenza ad eludere stimolazioni connesse al trauma si attua spesso o mediante l’evitamento di pensieri e sentimenti intrusivi o sviluppando forme di amnesia psicogenetica focalizzate sull’evento traumatico. L’intorpidimento emotivo invece può manifestarsi attraverso diversi segni di quella che viene definita “paralisi psichica” o “anestesia emozionale”, che genera diminuzione di interesse per le attività prima ritenute piacevoli, distacco o estraneità verso gli altri con difficoltà a mantenere le relazioni affettive e perdita di speranza relativamente al proprio futuro affettivo e lavorativo (Galeazzi A., Meazzini P., 2004).

Infine, la terza caratteristica sindromica, quella che si riferisce al quarto criterio diagnostico, è evidenziata da sintomi di aumento dell’arousal quali disturbi del sonno, della concentrazione, irritabilità e rabbia improvvisa, ipervigilanza e crisi di attacchi di panico frequentemente connesse ad elementi originariamente traumatici.

Al di là dei predetti sintomi più comuni, spesso si osservano altri sintomi di somatizzazione, di dissociazione, di depressione prolungata, nonché disagi espressi in vario modo che simbolizzano una coazione a ripetere il danno attraverso automutilazioni e rivittimizzazione, entrambe fortemente connesse a due stati emozionali spesso presenti nelle condizioni di disagio post-traumatico: il senso di colpa e la colpa da sopravvivenza.

Sono stati individuati dei fattori di rischio che predispongono all’insorgenza e alla cronicizzazione di un disturbo post-traumatico che sono rappresentati principalmente da alcuni elementi che si rinforzano reciprocamente tra loro, quali:

  • le caratteristiche dell’evento traumatico in sé (es. il prolungamento dell’esposizione e la gravità, nonché la sua presenza in concomitanza rispetto ad altri problemi personali);
  • le caratteristiche della persona colpita dal trauma (es. struttura della personalità, pessimismo, locus of control esterno, autostima bassa, storia personale difficile con presenza di perdite precoci, condizioni di salute negative e basse risorse cognitive);
  • i fattori ambientali (es. scarsa presenza di risorse amicali, di possibilità di ricorrere a supporti professionali adeguati per il trattamento immediato dei sintomi più acuti).

Spiegare, prevenire e superare i disagi legati al trauma

 

I tentativi di spiegare come si produce un trauma psicologico e come, di conseguenza, si produce un disturbo post-traumatico sono stati molteplici.
È interessante innanzitutto notare come alla base del problema ci sia un doppio meccanismo di apprendimento delle reazioni al trauma: da un lato si ha un condizionamento classico che sensibilizza ai contesti simili a quelli dell’evento traumatico e dall’altro si aggiunge un condizionamento operante che subentra quando comincia l’evitamento di situazioni connesse al trauma e che, tendendo a ridurre l’ansia, agisce da rinforzo negativo. Il modello di sviluppo dei sintomi segue quindi uno schema bifattoriale e l’evitamento rappresenta un modo per gestire l’ansia che involontariamente costituisce un ostacolo al processo di guarigione, dal momento che non permette l’esposizione agli stimoli condizionati, che è una condizione necessaria per estinguere le risposte emotive condizionate che sono il nucleo patologico (Mowrer O.H., 1960).

Dal punto di vista cognitivo sembra che l’evento traumatico sia in grado di attivare una condizione di stordimento definita “crying out”, alla quale segue un sovraccarico di informazioni che rende difficile o impossibile conciliare i dati connessi al trauma con gli schemi cognitivi pre-esistenti.
Più precisamente la tendenza a rigettare i nuovi contenuti traumatici sarebbe un tentativo fallito di ristabilire l’equilibrio e una consonanza cognitiva tra vecchi schemi cognitivi e nuovi dati angosciosi rifiutati. Pertanto, sembra che spesso il trauma insorga in relazione all’azione di due processi contemporanei: il diniego dell’evento e la sua ripetizione compulsiva che tendono a opporsi fra loro per gestire l’angoscia, ma che interferiscono con la sana funzionalità dell’individuo (Horowitz M.J., 1986).

Sembra inoltre che esista una componente biochimica che sostiene il cambiamento patologico che si innesca in seguito al confronto con un trauma: si tratterebbe di una modificazione nella produzione di norepinefrina, un neuromediatore attivante, che spiega i sintomi di iperattività e che viene prodotto naturalmente in condizioni di stress ed eccessivamente in condizioni di stress estremo.

Dal punto di vista della prevenzione esistono ormai molti interventi preventivi di psicologia dell’emergenza di provata efficacia, che agevolano l’attivazione di risorse ed una rielaborazione ed integrazione degli eventi affrontati nel contesto della propria storia di vita.

Dal punto di vista dell’intervento sui sintomi acuti e cronici del problema, dal momento che le manifestazioni cliniche e gli effetti del trauma sono eterogenei, sono risultati molto efficaci dei trattamenti integrati personalizzati. Alcuni sintomi che rappresentano dei condizionamenti negativi sono trattati con efficaci metodi di desensibilizzazione che richiedono l’esposizione mentale al trauma e che, per questo, spesso sono evitati a lungo dalle persone con disturbi post-traumatici nel tentativo vano di aspettare un miglioramento spontaneo, attesa che tende a produrre solo la cristallizzazione del trauma rendendo sempre più difficile la sua risoluzione (Giusti E., Montanari C., 2000).
Esistono anche trattamenti centrati sui sintomi somatici di iperattivazione che tendono a favorire la liberazione dell’energia psicofisica che si è imprigionata al momento dell’evento traumatico.
Indubbiamente le tecniche migliori devono favorire nuovi apprendimenti che sostituiscano quelli patologici e una rielaborazione cognitiva ed emotiva dei fatti dolorosi, con l’aiuto anche di metodi che lavorano sulle somatizzazioni che sono spesso presenti e che richiedono un lavoro psicocorporeo.

La trasformazione del trauma in opportunità

Molte persone, reduci da esperienze orribili o che si sono confrontate con prove estremamente dure della vita, hanno mostrato che il trauma può portare con se anche un aspetto forte e potente, rappresentando una forza misteriosa di cambiamento positivo e di crescita personale.
Diversi studi si sono concentrati su tale cosiddetta “crescita post-traumatica” o “post-traumatic growth”, ossia sulla possibilità di arricchirsi e di trasformare un episodio negativo di vita in una fonte di trasformazione positiva, in uno stimolo al miglioramento, attraverso delle capacità che sembrano svilupparsi in stretta connessione con la riscoperta di una capacità di fronteggiare eventi anche molto critici.
Va precisato che questo aspetto positivo che si può riscontrare spesso in concomitanza di un trauma psicologico non corrisponde necessariamente ad un percorso di evoluzione positiva della sintomatologia, ma può coesistere con delle problematiche post-traumatiche, così come con una completa guarigione.
Una caratteristica fondamentale che accomuna tutti gli eventi traumatici in grado di far cambiare positivamente chi li affronta è il loro potere di impatto psicologico, cioè la loro particolare gravità, tale da mettere in crisi il sistema di assunzioni di riferimento della persona.
La capacità di crescere dopo aver affrontato una situazione traumatica è molto più frequente nelle donne e decresce in modo proporzionale con l’aumentare dell’età.

Le aree principalmente coinvolte nella crescita post-traumatica sono tre:

  1. la percezione di sé;
  2. la filosofia di vita;
  3. le relazioni interpersonali.

Con riguardo al primo aspetto, spesso si osservano dei cambiamenti post-traumatici positivi nella consapevolezza di sé, delle proprie forze e capacità, delle risorse interiori con lo sviluppo di un atteggiamento più ottimista verso il futuro e di progetti concreti per raggiungere degli obiettivi di vita. Spesso cresce il senso di efficacia e si manifesta una migliore autostima attraverso le attività che connotano il proprio stile di vita.
È frequente anche osservare un cambiamento nella propria filosofia di vita, con la crescita della dedizione a questioni spirituali nonché una trasformazione degli atteggiamenti nei confronti della vita e della scala di priorità di valori, che nasce da una messa in discussione dei principali temi sull’esistenza umana.
Un altro aspetto che spesso appare rinnovato positivamente dopo l’esperienza traumatica è quello che riguarda la ricchezza dei rapporti con le persone care. Il confronto con elementi negativi della vita, infatti, sembra in grado di far apprezzare maggiormente la semplicità e l’importanza di rapporti più profondi con le persone considerate più care, mentre si allargano le capacità di manifestare con fiducia le proprie emozioni e di apprezzare l’aiuto e la vicinanza degli altri.
Infine, una particolare capacità emotiva che è spesso amplificata dalle esperienze traumatiche è quella di empatia: sembra infatti che la sofferenza insegni a comprendere meglio le altre persone, sostenendo una capacità emozionale che risulta estremamente utile per coltivare rapporti che possono costituire una risorsa fondamentale per il superamento di stati di disagio.

Articolo tratto da: www.benessere.com/psicologia/arg00/trauma_psicologico.htm

A cura della Dott.ssa Monica Monaco

 

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