La comprensione della rabbia

Conoscere la rabbia per saperla gestire

La rabbia, sia la nostra sia quella degli altri, è una delle emozioni più difficili da gestire. Vediamo come è possibile affrontarla

Paolo Roccato,

psicoanalista

Conoscere la rabbia per saperla gestire

La rabbia, sia la nostra sia quella degli altri, è una delle emozioni più difficili da gestire. Se poi si tratta della rabbia dei nostri figli, rischiamo di trovarci del tutto imbranati, perché ci sentiamo da un lato spinti a rispondere con una rabbia almeno altrettanto forte (per contrastare l’onda d’urto, per ristabilire un equilibrio di potere, per sfogarci anche noi, o, semplicemente, per farli smettere), e dall’altro lato spinti a paralizzarci, magari facendo finta di niente (per proteggerli dalla violenza della reazione che ci verrebbe spontanea, o perché, arrivati a quel punto, percepiamo l’incapacità di lenire la sofferenza), col rischio o di avvitarci in un rapporto come fosse di guerra fra pari, o di sottometterci, disperati, a un dittatore, disperato pure lui.

Emozione indispensabile

La rabbia è un’emozione indispensabile, ma che può creare dei guai. Anche se può “far perdere il lume dell’intelletto”, la rabbia è un’emozione sensata. Si tratta, prima di tutto, di una manifestazione di vitalità: uno scatto di affermazione forte di sé, che aumenta il senso di efficacia; per cui può non essere saggio cercare semplicemente di inibirla per prevenire i guai che effettivamente può creare.

La rabbia è sempre intenzionata ad annullare una sofferenza. Si attiva quando si percepisce la propria incapacità o impossibilità di affrontare quella sofferenza in altri modi. In effetti, la rabbia è spesso la penultima risorsa attivata per cercar di reagire a un dolore sentito come insopportabile, quando l’ultima risorsa spesso è l’inibizione, il ritiro, l’arrendersi senza più speranza. La rabbia tende ad aggredire, per distruggerlo, inibirlo o sottometterlo, ciò che ci provoca sofferenza. È, quindi, una risorsa indispensabile per la sopravvivenza.

Ma, essendo fondamentalmente distruttiva, può creare realmente dei guai e può spaventare a morte anche il soggetto che si arrabbia: «Sono così arrabbiato, che vorrei sbranare mamma e papà che mi fanno soffrire così tanto. Ma poi, come faccio senza di loro, di cui contemporaneamente sento di avere infinito bisogno?». In più, la rabbia, quando non è totalmente distruttiva, utilizza come risorsa il far paura, che, se è efficace sul momento, può suscitare effetti opposti a quelli perseguiti: la fuga o una contro aggressione, magari proprio da parte di quelli da cui ci si aspetta più amore, ammirazione, presenza.

 

Un’ondata di ormoni

Dobbiamo sapere che nell’accesso rabbioso si ha una massiccia immissione in circolo di ormoni surrenalici, che in un adulto medio impiegano almeno venti minuti a essere smaltiti. Ciò significa che si rimane biologicamente arrabbiati per circa mezz’ora, qualunque sia l’andamento degli eventi successivi.

È insensato pretendere che uno se la faccia passare prima. Non è solo psichica: è biologica la necessità di tempo per far sbollire la rabbia. Per questo è sensato, nel momento della rabbia, per esempio fra coniugi, dirsi: «Basta! Adesso esco, perché sono troppo rabbioso. Torno fra un’oretta: sbollita la rabbia, ne riparliamo». Peraltro, non esiste una rabbia senza fine. Come tutte le cose umane, belle o brutte che siano, essa ha un inizio, uno sviluppo e una fine.

Sul momento, si rischia di dimenticarsene e di essere presi dal panico o dallo sconforto. Dobbiamo sapere che anche la rabbia dei nostri bambini funziona allo stesso modo.

 

Non tutte le rabbie sono uguali

La più comune delle rabbie è quella realistica, indirizzata a distruggere la causa del nostro malessere, e va dallo spiaccicare la zanzara che ci ha punto, allo scazzottarsi con un rivale. È una rabbia mirata, abbastanza congruente con gli scopi perseguiti, indispensabile per imparare a farsi valere nella vita con coraggio e a viso aperto.

Tendendo a essere commisurata alla causa che la suscita e agli effetti desiderati (che la causa cessi o non si ripresenti), è la più facile da gestire. È difficile che trabocchi: ottenuto lo scopo, può lasciare facilmente il posto ad altri tipi di interazione. La rabbia è tanto più forte quanto maggiore è la frustrazione o la ferita che l’ha innescata. Le ferite più dolorose sono quelle che ledono il senso di sé e del proprio valore, cioè le ferite narcisistiche.

La rabbia narcisistica è fra tutte la più terribile, grandiosa, nefasta, epica. È la rabbia della persona mortalmente offesa, la furia di King Kong che distrugge ogni cosa. È innescata dal dolore atroce del sentirsi umiliato, deriso, disprezzato, non riconosciuto nel proprio valore; dall’angoscia di sentirsi delusi o percepiti come deludenti, del sentirsi incapaci o comunque non corrispondenti alle aspettative, proprie o altrui. Vi rientra la “rabbia dei timidi”, che all’improvviso non ne possono più di sentirsi trattati solo come remissivi “bravi ragazzi”.

 

La rabbia più angosciante

La più angosciante, sia per chi la vive sia per chi vi assiste, è però la rabbia impotente: un’attivazione distruttiva, disperata di chi sa che non c’è nessuna possibilità di modificare alcunché nella causa della ferita subita. Il parossismo delle azioni distruttive ha perduto ogni legame con qualsiasi fine, sentito come del tutto impossibile.

La distruzione assume le caratteristiche di uno sfogo disperato impotente. A chi la osserva potrebbe sembrare fine a se stessa, ma anche in questo caso non è così. In effetti, essa non è finalizzata soltanto alla scarica psicomotoria, ma anche alla comunicazione “urlata” di una sofferenza vissuta come estrema. Però, non avendo più nessuna capacità costruttiva, è anche la più difficile da gestire. Essendo inefficace a modificare le cause della sofferenza, tende a ingigantirsi sempre più, per cessare poi solo per esaurimento delle energie.

Il parossismo distruttivo diventa massimamente cieco e sordo, e può rivolgere la distruttività perfino contro il soggetto stesso, che, oltre a spaccare tutto, si fa del male, per esempio sbattendo la testa contro il muro, o ferendosi. La perdita della capacità di contatto può rendere più disperata l’esperienza: è così furibondo, che non solo non sente ragioni, ma non sente neppure gli altri, non è più in grado di sentire nemmeno la presenza di chi vorrebbe calmarlo e consolarlo. La rabbia impotente è, così, il massimo della solitudine, anche perché spesso è accompagnata da sentimenti di colpa e inadeguatezza, legati al senso di impotenza e alla distruttività. Solo se si riesce a cogliere la sensatezza della sua rabbia, si può aiutare il bambino a imparare a gestirla.

 

Pubblicato il 30.06.2015 e aggiornato il 19.02.2018

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