L’isolamento e la solitudine

“Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia” Paul Valery

È uscito un film titolato “La solitudine dei numeri primi” tratto dal libro omonimo di P. Giordano.
Il tema ivi trattato ci sollecita a fare delle riflessioni a proposito della solitudine e che cosa s’intende per solitudine e se questa abbia delle attinenze o si presenti invece come sostanzialmente differente dall’isolamento.
Potremmo dire che entrambi – solitudine ed isolamento – da un punto di vista strettamente fenomenologico, presentano le stesse caratteristiche, vale a dire si manifestano con forme più o meno intense di ritiro e distacco dall’Altro sociale, familiare, amicale, lavorativo etc.
Tuttavia l’espressione fenomenica di per sé non ci chiarisce né tanto meno ci esplicita l’aspetto strutturale sotteso in entrambi.

Isolamento
Partiamo dall’isolamento.
In primis possiamo affermare che un soggetto che si isola non per forza si sente solo. La scelta dell’isolamento infatti può essere dettata da un’esigenza immaginaria irrinunciabile di costruzione di una pseudo-realtà in cui un soggetto sperimenta un’idea di libertà nella selezione di oggetti con cui sente di potersi relazionare.
A tutt’oggi l’esempio più evidente è l’utilizzo di Internet, dove non manca la possibilità di instaurare pseudo contatti e virtuali amicizie ed anche virtuali amori che danno l’illusoria idea di essere inseriti nel mondo.
Oggi molti genitori lamentano la quantità di tempo che i loro figli passano davanti al computer, diventato l’oggetto di maggiore compagnia.
Anche la droga, soprattutto l’eroina, rappresenta un oggetto che consente di vivere un “beato isolamento”.
Con l’isolamento si sceglie di escludere l’Altro, di innalzare un muro tra se stessi e gli altri. Questa modalità consente di preservare un’immagine di sé integra, un’immagine ideale non sfiorata dal confronto che potrebbe intaccarla, svilirla, renderla vulnerabile.
Si potrebbe definire l’isolamento come una sorta di autoerotismo, un costante soddisfacimento nei confronti di una immagine di sé fantasmaticamente idealizzata.
A questo punto potremmo quindi affermare che con l’isolamento si concretizza un ritiro dall’Altro in generale senza passare per la solitudine, una modalità per bypassare la solitudine.
Potremmo sempre a questo punto affermare che un soggetto che sceglie l’isolamento è un soggetto che non intende fare i conti con la solitudine.

Solitudine
Veniamo adesso alla solitudine.
Potremmo affermare che ci si può sentire soli anche se fisicamente si è con l’Altro o con una moltitudine di altri.
Potremmo altresì dire che la scelta della solitudine rappresenta una scelta forzata, un ritiro rispetto ad un’idea di incapacità di sostenere l’Altro.
Un soggetto in solitudine è un soggetto che soffre.
La sua sofferenza scaturisce dall’immaginare di non essere in grado di rapportarsi, di confrontarsi con l’altro che parla, che giudica, insomma con un altro che potrebbe metterlo in una condizione di crisi, che potrebbe evidenziare quelli che il soggetto sente essere i suoi limiti.
Diceva Karl Kraus (scrittore austriaco) che ci sono due nemici dell’umanità: quelli che ci vogliono uccidere e quelli che ci vogliono parlare e aggiungeva che dai primi ci protegge la legge ma che restiamo scoperti dai secondi per cui quest’ultimi sono i più pericolosi.
Per quanto ci riguarda possiamo sostenere che ogni soggetto deve fare i conti con la propria solitudine, vale a dire deve entrare in contatto con ciò che è più intimo a se stesso, entrare in relazione con tutte quelle parti di sé che sente estranee e nemiche e da cui tenta di sfuggire attraverso quella che noi chiamiamo rimozione.
Diceva Freud che nessuno è “ padrone in casa propria ”. Per cercare di saperne qualcosa della “propria casa” è fondamentale passare per una certa solitudine che consente di entrare in rapporto con se stessi, di fare conoscenza con i propri limiti non più visti come un fallimento ma come una risorsa. Sperimentare una “certa dose” di solitudine permette ad ogni soggetto di crearsi, di sostanziarsi, di darsi una forma in grado di rapportarsi con il mondo degli altri, di incontrare gli altri senza temere di essere fagocitati.
C’è posto per tutti nel mondo e i buoni incontri sono possibili quando ognuno sente di aver costruito per sé uno spazio in cui potersi muovere liberamente e permettere anche all’Altro dell’incontro di poter fare altrettanto.

Dott. Maria Marcella Cingolani

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